Botulino, il veleno naturale più potente per l’uomo: quello che c’è da sapere sul batterio delle conserve
L’estate italiana è stata caratterizzata dal caso botulino, ovvero il veleno naturale più potente per l’uomo. Alla luce degli ultimi episodi fatali è scattato l’allarme, ma in realtà, in base ai dati snocciolati dall’Istituto Superiore di Sanità, quella del botulismo non è certo una novità nel nostro Paese. Dal 2001 al 2024, infatti, stati segnalati 1.276 casi clinici, 574 dei quali poi confermati in laboratorio.
E, ora, veniamo alle percentuali. Il 91,6% dei casi era di origine alimentare, cioè causato da alimenti contaminati come conserve fatte in casa, salumi e pesce affumicato. In questo caso il batterio killer si sviluppa in ambienti privi di ossigeno, come barattoli non sterilizzati bene ed è praticamente impossibile individuarlo in quanto non va ad alterare né l’aspetto né l’odore del cibo. Il 7,5% dei casi faceva invece riferimento al botulismo infantile, che colpisce bambini con meno di un anno che ingeriscono spore, presenti in miele crudo o terreno contaminato: non essendo il loro intestino ancora maturo, non riescono a eliminarle.
Infine, lo 0,9% a botulismo da ferita, che si verifica quando il batterio entra appunto da una ferita e produce tossina nel corpo. In totale il numero dei morti accertato nell’arco di quest’arco temporale è stato di 15, per un tasso medio di letalità pari al 2,6%.
Botulino, occhio alle conserve fai da te: i sintomi
Ora l’attenzione è massima, come certificato anche dai controlli dei Nas in tutto lo Stivale. Sì, il botulismo resta una malattia rara, ma estremamente pericolosa. Perché la tossina prodotta dal batterio Clostridium botulinum è una delle sostanze più tossiche conosciute e bastano pochissimi nanogrammi per causare sintomi gravi. Occhio alle conserve, soprattutto quelle fai da te, quelle fatte in casa, per intenderci. Ed è sempre l’ISS a sottolineare come in Italia “l’incidenza sia alta per via della radicata tradizione conserviera”. Quindi, nel prepararle, “è cruciale evitare il rischio di contaminazione”.
I sintomi compaiono dopo 12-36 ore dall’esposizione alla tossina e possono essere di diversa natura. I più comuni, che non devono mai essere sottovalutati, sono visione doppia o offuscata, difficoltà a parlare e deglutire, secchezza delle fauci, debolezza muscolare, paralisi progressiva e difficoltà respiratoria, che nei casi più gravi richiede ventilazione meccanica e può portare fino alla morte. L’Iss fa sapere che “in Italia, gli alimenti di produzione domestica che maggiormente sono responsabili dei casi di botulismo sono le olive nere in acqua, le conserve di funghi sott’olio, le conserve di cime di rapa e le conserve di carne e di pesce (soprattutto tonno)”.
I consigli per non correre rischi
Si parte da ciò che dovrebbe essere scontato quando si è in cucina: l’igiene personale e del luogo dove si opera. Inoltre bisogna assicurarsi che gli alimenti che si trattano non siano andati a male. Nel caso delle conserve, poi, un passaggio obbligatorio è la sanificazione dei contenitori, che vanno sterilizzati bollendoli per almeno 10 minuti o usando il forno.
Altro dettaglio da non trascurare è l’acidità degli alimenti. Frutta (marmellate) e pomodori sono naturalmente più acidi e di conseguenza più sicuri. Verdure, carne e pesce sono a bassa acidità e dunque più a rischio botulino: aceto e succo di limone sono ingredienti da aggiungere per aumentare la sicurezza del prodotto.
L’antidoto è gestito solo dal Centro antiveleni di Pavia
In Italia la gestione dell’antidoto contro il botulino è affidata esclusivamente al Centro antiveleni di Pavia, che opera in coordinamento con ministero della Salute, ISS e Farmacia militare. Ciò significa che né gli ospedali né le Regioni possono conservarla.
Il siero è in grado di neutralizzare la tossina botulinica presente nel sangue, ma non di riparare i danni ai neuroni, per cui va somministrato entro poche ore dall’insorgenza dei sintomi. Il recupero è lento e può durare settimane o mesi. È il medico ad attivare la procedura d’urgenza: il centro lombardo valuta il caso e richiede al ministero il rilascio dell’antidoto, che è conservato in luoghi sicuri.