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Essere bambino ai tempi del Covid: come si vince la sindrome della capanna

sindrome della capanna

Essere bambino ai tempi del Covid: come si vince la sindrome della capanna

Cosa vuol dire essere bambino al tempo del Covid? Sicuramente significa sperimentare una socialità limitata, mutilata; convivere con paure difficili da razionalizzare ed esistere in un tempo di incertezza e di angoscia. In un contesto simile è chiaro che possano svilupparsi disturbi di natura psicologica come la cosiddetta “sindrome della capanna“.

 

Cos’è la sindrome della capanna?

 

Quando si parla di “sindrome della capanna” ci si riferisce di fatto alla sopravvenuta paura di lasciare la propria casa, di uscire in un mondo in cui il Covid è ancora un pericolo presente. Le quattro mura domestiche, il rifugio ultimo in cui si è trovato riparo quando la pandemia ha fatto la voce grossa, vengono viste come il solo posto sicuro nel quale rintanarsi. I sintomi di questo disturbo, che non a caso viene chiamato anche “sindrome del prigioniero“, si traducono solitamente nella paura del mondo esterno, nel terrore di ammalarsi e contagiare i propri cari, nella volontà di rintanarsi dentro ad ogni costo. Tutto ciò per i bambini significa avere timore di mettere piede fuori di casa, può voler dire avere paura di contagiare figure di riferimento eppure fragili come i nonni. Mentre per i ragazzini un po’ più grandi, che già usano i social, significa anche “accontentarsi” di una socialità che prende vita soltanto in maniera virtuale.

 

Come si vince la sindrome della capanna?

 

Il consiglio per i genitori è innanzitutto quello di comunicare sicurezza ai propri figli: sia sul piano verbale che non verbale. Non basta cioè assicurare che fuori casa “andrà tutto bene” se poi con gli atteggiamenti non verbali gli adulti comunicano incertezza e a ansia a loro volta. Allo stesso tempo è importante non eccedere con le rassicurazioni: stimolare al dialogo, portare il bambino a parlare apertamente delle sue paure, è importante per indurlo ad elaborare una soluzione alternativa alla paura primitiva di rintanarsi nel proprio “guscio” evitando di affrontare direttamente il problema. L’ultimo consiglio che diamo ai genitori è quello di sfruttare un “diversivo”, se così possiamo chiamarlo: la creatività dei propri figli. Che si tratti di disegnare, scrivere o giocare poco importa: in questo modo il cervello non sarà interessato ad innalzare nuove barriere, piuttosto sarà concentrato ad esprimersi e a fabbricare un antidoto per la paura. Per i casi di bambini più sensibili, in cui la sindrome della capanna non sembra risultare più gestibile tanto si è radicata, l’unica soluzione resta invece quella di rivolgersi ad uno specialista.

 

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