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L’ivermectina nel trattamento del Covid-19: dubbi e possibilità formulative

L’ivermectina nel trattamento del Covid-19: dubbi e possibilità formulative

La parola più in voga del momento in relazione alla pandemia? Ivermectina, principio attivo utilizzato come farmaco ad uso veterinario per “sverminare”, attorno al quale dal 2020 in poi è ruotato l’interesse di milioni di persone per il presunto potenziale terapeutico contro il Covid-19. Ma vediamo più approfonditamente di che si tratta.

 

L’ivermectina è veramente efficace?

 

Sulla reale efficacia dell’ivermectina le opinioni sono le più disparate. Da una parte negli USA l’agenzia del farmaco FDA (Food and Drug Administration) si è vista costretta ad usare toni anche molto sferzanti per scoraggiare i pazienti decisi a seguire questa terapia alternativa rispetto ai protocolli di cura ufficiali. Emblematico questo tweet, risalente soltanto a pochi giorni fa: “Non sei un cavallo. Non sei una mucca. Davvero, piantatela“.

 

Allo stesso modo alcuni piccoli studi osservazionali hanno evidenziato il potenziale promettente del farmaco. Daniel Horowitz, su The Blaze, cita ad esempio un piccolo studio condotto in Israele su 30 pazienti: di questi, 29 sono guariti in 3-5 giorni usando l’ivermectina. A detta del giornalista, anche negli stati dell’India in cui è stato utilizzato, il principio attivo ha causato una drastica riduzione del tasso di mortalità. Emblematico quanto accaduto nell’Uttar Pradesh, dove la mortalità sarebbe precipitata del 76%.

 

Bisogna ribadire come allo stato attuale quella a base di ivermectina non sia considerata una cura anti-Covid a tutti gli effetti. Il rischio di provocare danni è elevato a maggior ragione considerando che molte persone sono solite utilizzare le versioni del farmaco destinate all’ambito veterinario, poiché più semplici da reperire oltre che più economiche, ma caratterizzate da dosaggi e composti diversi da quelli per gli esseri umani.

 

Certo però non si può negare che l’ivermectina susciti l’interesse degli scienziati in ottica Covid-19. Non è un caso, infatti, che l’Università di Oxford abbia dato inizio ad una sperimentazione su di essa nell’ambito del Platform Randomised Trial of Treatments in the Community for Epidemic and Pandemic Illnesses (PRINCIPLE), il maggiore studio clinico al mondo sui possibili trattamenti anti-Covid mediante cure domiciliari e altre impostazioni non ospedaliere.

 

Allo stato attuale ciò che possiamo dire è che l’ivermectina risulta registrata in almeno un farmaco ad uso umano in Francia e Spagna (oltre ad avere una monografia dedicata nella Farmacopea Europea). Ciò consente ai Medici Chirurghi ed Odontoiatri di prescriverla e di richiedere il preparato galenico secondo quanto disposto dalla Legge 94/98 (Legge “Di Bella”). Per quanto riguarda l’Italia, il farmacista galenico può allestire ivermectina capsule grazie alla possibilità di acquistare ivermectina pura, di grado farmaceutico, certificata ad uso umano. Vietato invece l’impiego di ivermectina ad uso veterinario per l’allestimento di ivermectina capsule ad uso umano. Avendo un indice terapeutico molto basso, l’ivermectina viene classificata alla voce “veleno”. Ciò comporta che sia necessaria una ricetta medica non ripetibile con i formalismi dei veleni. Inoltre, non essendo disponibili medicinali industriali registrati per l’indicazione terapeutica COVID, è necessario redigere una ricetta “off-label”, secondo gli artt. 4 e 5 della suddetta Legge Di Bella, in cui il medico si assume la responsabilità del trattamento e acquisisce il consenso informato del paziente.

 

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